Maghinardo Pagani

MAGHINARDO PAGANI (1250 ca.-27 agosto 1302)

“Le città di Lamone e di Santerno
conduce il lioncel dal nido bianco
che muta parte dalla state al verno”
(Inf., XXVII, vv. 49-51)

“Ben faranno i Pagan, da che ‘l demonio
lor sen girà; ma non però che puro
già mai rimagna d’essi testimonio”
(Purg. XIV vv. 118-120)

Indiscusso protagonista delle vicende politiche e militari romagnole dell’ultimo quarto del Duecento, definito da Dante “il lioncel” in riferimento all’araldica di famiglia, un leone rampante blu in campo argento, nella Commedia è condannato per la condotta politica opportunista, “ghibellino in Romagna e guelfo in Toscana”. Figlio di Diana di Azzo della Pila Ubaldini del ramo di Montaccianico e del nobile ghibellino Pietro di Pagano,  Maghinardo eredita l’ampia signoria sulle alte valli del Lamone, del Senio e del Santerno. Il “dimonio” dei Pagani, nato da una famiglia ultraghibellina per tradizione e legami familiari, viene educato a Firenze per volontà paterna per conoscerne le persone e le dinamiche. Nel canto XIV del Purgatorio si profetizza la morte de “l dimonio” dei Pagani (vv. 118-120), che nel 1282 aveva sposato Mengarda della Tosa, alleandosi con i guelfi neri sostenitori di Papa Bonifacio VIII, causa dell’esilio di Dante.

Il cronista Giovanni Villani definisce invece Maghinardo “grande e savio tiranno” (Nuova Cronica, VIII, 149), e scrive di lui: “ghibellino era di sua nazione e in sue opere, ma co’ Fiorentini era guelfo e nimico di tutti i loro nimici o guelfi o ghibellini che fossono”. Di lui scrive che “morto il padre, che Piero Pagano avea nome, grande e gentile uomo, rimanendo il detto Maghinardo piccolo fanciullo e con molti nimici, conti Guidi, Ubaldini e altri signori di Romagna, il detto suo padre il lasciò alla guardia e tuteria del popolo e Comune di Firenze, lui e le sue terre: dal quale Comune benignamente fu cresciuto e guardato e migliorato il suo patrimonio e per questa cagione era grato e fedelissimo al Comune di Firenze in ogni sua bisogna”.

Abile e spregiudicato politico, negli anni ’80 del Duecento è molto legato a Firenze, che muove in suo aiuto nel 1287 per liberarlo dall’assedio delle sue rocche appenniniche da parte degli avversari faentini; due anni dopo, nel 1289, Maghinardo combatte con Dante tra le fila della Lega Guelfa nella battaglia di Campaldino al fianco dei fiorentini.

In Romagna guerreggia continuamente; negli ultimi anni del Duecento scaccia i Manfredi da Faenza e prende il potere, impadronendosi dei castelli di Rontana, Quarneto e Fo­gnano, nella valle del Lamone. A Brisighella ha una rocca inespugnabile, un vero nido d’aquila a controllo su tutta la valle. Capitano del Popolo a Faenza e Signore di Forlì, a fianco dei ghibellini Azzo d’E­ste e Uguccione della Faggiola espugna Imola.

All’apice del potere e a capo di una piccola signoria, comprendente anche le città di Faenza, Imola e Forlì e relativo contado, Maghinardo si ammala e muore nel suo castello di Benclaro vicino a Marradi il 27 agosto 1302, pochi giorni dopo aver dettato testamento a favore della moglie e delle figlie Andrea e Francesca. Del castello resta Casa Cappello, dall’aspetto di casa torre nei pressi di S. Adriano, a breve distanza da Marradi, ancora dominata dal Castellone, altra proprietà di Maghinardo.

Nell’Archivio di Stato di Firenze è coonservata la pergamena con il testamento di Maghinardo: alle due figlie e alla nipote Alberia va quasi tutto il patrimonio; alla moglie Mengarda viene restituita la dote “che io ebbi al tempo del contratto di matrimonio, millequattrocento lire di Pisa in fiorini”. Il fratellastro Giovannino eredita la tenuta del Castello di Praticino, fra Fantino e Lozzole; ad Ugolino va il Castello di Gamberaldi. Generosi i lasciti alla servitù: al suo “diletto, fedele, segreto servitore” Matteo va una borsa di denaro; al cuoco Romanuccio da Campanara viene concessa la libertà da ogni vincolo di vassallaggio; somme di denaro per gli scudieri Baliscerio e Mengolino e per Donato di Lozzole, palafreniere, a cui lascia anche i suoi tre cavalli preferiti: Fanestro, Caprona e Palafredo.

Nel suo testamento si legge infine: “scelgo come mia sepoltura e voglio che il mio corpo sia sepolto presso la chiesa e monastero di S. Maria di Rio Cesare secondo l’usanza e vestito dell’abito dell’ordine di Vallombrosa e non diversamente”.

Maghinardo viene quindi sepolto vestito da monaco vallombrosano nella Badia di Susinana, oggi villa-fattoria, fondata nel XII secolo e feudo dei Pagani.

A breve distanza è Palazzuolo sul Senio, uno dei Borghi più belli d’Italia, sul cui stemma figura una donna tra due torri, identificata in Marzia Ubaldini, detta Cia (1317-1381), nipote di Maghinardo e sposa di Francesco Ordelaffi Signore di Forlì, una delle più famose donne combattenti del Medioevo.

Secondo una leggenda popolare, Maghinardo sarebbe stato sepolto con una preziosa spada e il suo spirito veglierebbe affinchè non venga mai trovata. Ignota è in effetti l’ubicazione della tomba, ma leggenda narra che venga toccata da un raggio di sole una volta l’anno, all’equinozio di primavera.

Foto: Maghinardo Pagani da Susinana_Pegaso Models per MuFiS – Museo del Figurino Storico Calenzano (FI)